Il libro – Lulù l’angelo tra i fiori

LULÙ

    

L’ultima volta che abbiamo parlato delle nostre canzoni Mike non ha avuto dubbi: la sua preferita è “Lulù”. E non fu certo un caso se decise di chiamare “Lulù” il suo cane, una bellissima femmina di schnautzer gigante.

    

Anno 1980, mese di novembre. Il posto: Roma, in prossimità del dodicesimo chilometro della via Tiburtina, via di S.Alessandro, 7. RCA uffici e studi di registrazione. Avevo tra le mani due fogli fotocopiati che Olimpio mi aveva appena consegnato. Sul primo, sotto la scritta “Lulù the flower angel”, c’era una ragazzina che scambiai per Candy Candy, ma senza i due nastri rosa tra i capelli. Stava seduta in un prato di margherite in compagnia di un cane e di un gatto – questa volta si trattava certamente di un gatto – e sullo sfondo si notavano le case di un paesino di montagna e un ragazzo dal cappello piumato, con lo zaino sulle spalle. Sul secondo foglio c’era un breve testo preceduto da una parola oscura, sinopsi, che riassumeva la storia di Lulù. Cominciai a leggere e alla settima riga accennai un sorriso. “…molti anni prima quando era vero il mondo delle favole, gli esseri umani vivevano felici ed uguali, in pace con i fiori e gli animali. Ma non appena gli esseri umani guadagnarono quel potere chiamato civiltà divennero arroganti ed iniziarono a sopraffare fiori ed animali. Per evitare la loro sopraffazione gli spiriti dei fiori andarono a vivere su un altro pianeta, il pianeta dei fiori, appunto, che galleggia su nuvole color arcobaleno. Ma alcuni spiriti dei fiori rimasero sulla terra e si sposarono con degli esseri umani per tramandare il sangue dello spirito dei fiori di generazione in generazione. E questo sangue scorre nelle vene di Lulù…”.
Sorrisi perché dovevo parlare di favole e intanto, fuori, la vita vera andava in frantumi. Erano gli anni di piombo. Mentre si preparava il lancio di “Candy Candy” il magistrato Vittorio Bachelet era stato ucciso da un commando brigatista. Fino a qualche mese prima bastava che accennassi un segno di saluto, dal finestrino della macchina, e vedevo sollevarsi la barra del passo carrabile da cui si entrava in RCA. Poi senza preavviso il portiere, che pure mi conosceva bene, iniziò a farmi spegnere il motore, a controllare i documenti e a lasciarmi passare soltanto dopo essersi accertato con una telefonata che ero realmente atteso.

    

Olimpio prese una cassetta dalla scaffalatura alle sue spalle e l’inserì nel lettore. Era la demo di “Lulù” realizzata dal duo Meakin-Fraser: tastiere, un soffio di batteria elettronica e l’inconfondibile voce di Dougie. Mi piacciono le storie a lieto fine, i film come “La vita è meravigliosa” di Frank Capra, e quando sto per addormentarmi vorrei sempre poter credere che “domani è un altro giorno” e che qualcosa di buono, di migliore, accadrà nel mondo e nella mia vita. Forse fu per questo che decisi di scrivere “Lulù”, anche se avrei preferito che un discografico mi avesse chiesto di raccontare gli ex ragazzi del sessantotto miei coetanei che andavano allo sbando con l’eroina e nella lotta armata o rifluivano nel perbenismo che avevano contestato. Fuori da quelle isole lontane dal mondo reale che sono gli studi di registrazione, fuori da quelle stanze ovattate dove non entra nessun rumore, nessuna voce e dove si possono inventare sogni che sembrano veri nei tre minuti di una canzone, fuori la società, le abitudini e i gusti della gente stavano cambiando. I giubbotti e i camperos dei paninari avevano sostituto gli eskimo degli studenti; gli yuppies rampanti della Milano da bere facevano impallidire il ricordo dei figli dei fiori; la disco dance di Giorgio Moroder e il reggae di Bob Marley e di Peter Tosh imperavano nelle discoteche; la musica leggera protestava sempre meno.
In un simile contesto di mutamenti e trasformazioni anche la musica di “Lulù” segnò un’evoluzione rispetto a “Candy Candy”. La linea melodica era semplificata, scarna, quasi ripetitiva, tuttavia coinvolgeva subito e andava via spedita, dall’introduzione al finale. Alla prima stesura del testo mi trovai in difficoltà. Sentivo che la parte vincente del pezzo era nelle strofe, fatte di frasi tanto brevi da contenere due o al massimo tre parole ciascuna. Così decisi che ogni verso sarebbe dovuto arrivare immediato come un flash sopra un’inquadratura di Lulù in primo piano: “…Luna – stella Lulù, tutta bella Lulù, cuore semplicità, mare serenità, occhi di prateria, bocca senza bugia”.

    

Entrammo in studio, questa volta in RCA, e i Rocking Horse guidati dall’attenta regìa di Olimpio si presentarono in formazione completamente anglofona, un connotato che conservarono in quasi tutte le incisioni successive: sessanta per cento made in England, venti made in Scotland e venti made in U.S.A. Dougie, canto e chitarra ritmica; Dave Sumner, chitarra solista e ritmica; Mick Brill, basso elettrico; Mike (Michael) Brandon Fraser, piano e tastiere; Marvin Johnson, batteria. Con “Lulù” si perfezionò il sound, un soft rock senza un attimo di tregua, con le tastiere di Mike che incalzavano a ogni battuta la chitarra di Dave, pronto a rispondere con riff memorabili che rilanciavano ogni volta i movimenti del basso e della batteria e i cori, spesso con accenti beatlesiani, che diventavano una componente ritmica trascinante. E di quel sound, nella magica alchimia dell’arrangiamento di Mike Fraser, la voce di Dougie si confermò come caratteristica essenziale e inconfondibile.

    

Douglas Albert Meakin, questo il suo nome all’anagrafe, era già un personaggio. Nato a Liverpool nel 1945, aveva conosciuto da adolescente Ringo Starr e gli altri Beatles. Era atterrato a Roma nel 1966 con il gruppo dei “Motowns” e con loro aveva raggiunto la notorietà incidendo dischi di successo, vincendo il “Cantagiro” con “Prendi la chitarra e vai”, recitando con Fellini in “Tre passi nel delirio” e con Dario Argento in “Quattro mosche di velluto grigio”, esibendosi dal vivo fino alla prima metà degli anni settanta. Dopo lo scioglimento della band lavorava in studio come vocalist e chitarrista nei dischi di grandissimi artisti come Dalla, De Gregori, Venditti, Morandi, Cocciante e Morricone, finché un giorno incontrò Jeeg Robot, il grande Mazinger, Candy Candy e diventò la voce dei Superobots e dei Rocking Horse.
Olimpio commentando le sue qualità canore ama definirlo “…una canna!” azzardando un paragone con le canne d’organo. “Una voce potente, limpida, capace di modulazioni infinite e delle quali Dougie mantiene sempre un controllo assoluto. Quando deve doppiarsi per dare un colore diverso all’interpretazione o per simulare un coro, puoi essere certo che gli aghi dei vu meter o i led luminosi delle due tracce mostreranno un livello d’uscita del tutto identico. Non c’è mai stato bisogno di alcuna correzione al momento del missaggio”. La cadenza della lingua inglese ha costituito spesso un problema davanti al microfono. Fargli pronunciare una erre è sempre un’impresa; fargliene cantare due come in “guerra” “terra” o “corri” è stato a volte impossibile. Lo stesso vale per la elle, ma al contrario. “Cielo” detto da lui diventa “Ciello”. Per non parlare delle a che cambiano in e. Sentire per credere.

    

Nella regìa dello studio D di via S. Alessandro riascoltavamo il master di “Lulù”. Io in piedi ammiravo in silenzio quei tre minuti e cinquanta secondi di alta professionalità. Dougie sdraiato sul divano si rilassava con una birra e distribuiva grandi sorrisi che tradivano la soddisfazione per il risultato ottenuto e Olimpio lo sfotteva a ogni passaggio di “Cori! Cori! Lulù”, “Ciello chiaro Lulù” e “Dolce Engelo sei tu!”. Arrivati a questo punto il nostro stato d’animo era sereno, ma la registrazione di “Lulù” aveva avuto momenti di tensione e il primo giorno di lavoro era stato segnato da un evento che aveva colpito tutti in modo profondo e turbato particolarmente Dougie.
Alle 22,50 dell’8 dicembre 1980 un venticinquenne del Texas aveva atteso John Lennon all’ingresso del Dakota Rooms di New York City e gli aveva sparato cinque colpi di pistola. Lennon era morto alle 23,15. In Italia, per effetto del fuso orario, erano le 8,15 del 9 dicembre. La notizia fu data dai giornali radio di metà mattina e con il passaparola arrivò al bar della RCA poco prima dell’ora di pranzo.
Il 9 dicembre, alle 10,00 i Rocking Horse erano arrivati in studio per la prima sessione di lavoro di “Lulù” e sarebbero andati avanti fino alle 21,00. Le prime ore di registrazione di un nuovo brano sono determinanti; vengono dedicate a formare l’ossatura, la spina dorsale della canzone: la batteria, il basso e il resto della base ritmica. Occorre il massimo della concentrazione poiché ogni errore, ogni inesattezza che non sia immediatamente riconosciuta e tagliata via, peserà sulle fasi seguenti del lavoro. C’erano le premesse per bissare il successo di “Candy” e Mike Fraser mostrò una pignoleria e una ricerca della perfezione tali che in un paio di occasioni rischiò di far saltare i nervi a Marvin e al compassato Mick Brill. Olimpio, che avrebbe dovuto essere più nervoso degli altri perché contemporaneamente impegnato in altri progetti e prossimo a partire per Londra, entrò in regìa solo nell’imminenza della pausa per il pranzo. Ascoltò le tracce già incise e rassicurò Mike sulla buona qualità dei risultati ottenuti. Prese sottobraccio Dougie e propose agli altri di scendere al bar. La mensa andava bene per i giorni più tranquilli.
Dougie seppe della morte di Lennon da due ragazzi che ne parlavano a un passo da lui vicino alla cassa mentre era in fila per pagare. Poi lo appresero anche gli altri. Uscì dal bar e rimase da solo a camminare sul piazzale di sosta per le auto, vestito com’era, jeans e camicia di flanella a quadri, nonostante la temperatura invernale. Si rivide a tredici anni nella sua Liverpool, a Dingle, un quartiere di operai e artigiani, gente semplice che viveva in piccole case a un piano tutte uguali e in fila lungo i marciapiedi delle strade che risalivano fino al fiume, alloggi di poche pretese ma ognuno con un cortiletto interno dove le donne stendevano il bucato e i bambini più piccoli giocavano sereni. Ringo viveva a poche centinaia di metri e spesso incontrava il giovanissimo Meakin alla fermata del bus che li portava in centro. Non erano proprio amici, anche se per un breve periodo avevano frequentato la stessa scuola, la Dingle Valley School. Quando si è ragazzi, cinque anni di differenza sono una distanza siderale e nel 1958 il futuro batterista dei Beatles era un diciottenne che poteva entrare nei pub, ordinare da bere e frequentare un universo di ragazzi e ragazze inarrivabili per chi ancora non aveva iniziato a radersi la prima peluria sulle guance. Ma avevano in comune, oltre all’estrazione sociale, un’incontenibile passione per la musica e se Dougie cantava e suonava la chitarra con un complessino di amici Ringo riscuoteva i primi successi con i “Rory-Storm and the Hurricanes”. Era facile fraternizzare in autobus discutendo di rock and roll, di canzoni e di gruppi mentre Ringo giocherellava sui sedili liberi e su qualsiasi altra superficie con le due bacchette di legno da cui era inseparabile.
Interrotti gli studi Dougie si era impiegato come office boy al Comune e a volte nella pausa del pranzo usciva con un cugino e andava al “Cavern” per mangiare qualcosa e ascoltare musica. Il Cavern era un locale molto popolare tra i teen ager. Vi si entrava con la tessera di soci per il “Lunch Time Session” dalle 12,00 alle 13,00 o dalle 13,00 alle 14,00 e con uno scellino ci si sedeva a un tavolo e si aveva diritto alla zuppa del giorno, a un panino, a una tazza di tè e a vedere lo spettacolo. Una volta il cugino, anche lui dipendente comunale, fece la sua pausa al Cavern e tornò in ufficio eccitatissimo chiedendo a Dougie di accompagnarlo di nuovo lì dove aveva appena assistito a qualcosa d’indescrivibile. Gli disse che avrebbe dovuto vedere con i suoi stessi occhi ciò che lo aveva lasciato a bocca aperta. Fu così che la voce dei Rocking Horse conobbe i Beatles, ancora senza Ringo: Pete Best alla batteria, Paul McCartney chitarra ritmica senza amplificatore, Stuart Sutcliffe al basso, mentre George Harrison si alternava alla chitarra solista con John Lennon. Era il 1960.

    

Dougie rientrò nello studio D per ultimo, ben oltre il termine previsto per la ripresa della sessione di registrazione. Sorrideva con gli occhi velati di malinconia. Nessuno osò commentare il suo ritardo. Imbracciò la chitarra e andò a riprendere posizione accanto a Dave. Il lavoro proseguì nei due giorni seguenti dalle otto di sera alle due di notte. Olimpio volle partecipare ai cori unendo la sua voce a quelle di Roger Crouch e di Marcello Cirillo e in un’epoca in cui gli effetti speciali si costruivano in modo manuale decise di arricchire l’impasto sonoro dell’intro facendo scorrere il plettro della chitarra sulle corde del pianoforte come se fosse un’arpa. L’aveva visto fare alcuni anni prima da un paio di vecchie volpi del mestiere durante la registrazione di un album di Patty Pravo.
Dougie cantò la sera dell’11 dicembre e fu all’altezza delle sue migliori prestazioni. Ma il nastro con la sigla fu respinto, com’era accaduto per il primo mix di “Candy Candy”, perché le parole del testo non sempre erano comprensibili. Colpa dei noti problemi di pronuncia o responsabilità di Olimpio che stava facendo l’abitudine a certe inflessioni di Dougie e non riusciva più a distinguere tra difetti passabili e errori da cancellare? Colpa dello sconcerto per la scomparsa di Lennon e della poca concentrazione che lasciava vagare i pensieri dai cursori del mixer alla fragilità della vita al di là delle pareti dello studio? Fu fissata la data del 15 per rifare le parti contestate del canto e il missaggio. Non potevamo permetterci altre battute d’arresto, rischiavamo di passare la vigilia di Natale in RCA. Ci sarei stato anch’io per cambiare all’istante, se necessario, quello che Dougie non riusciva a eseguire al meglio. Olimpio intanto sarebbe volato a Londra dove Lene Lovich l’attendeva per chiudere la registrazione del brano con cui avrebbe partecipato al Festival di San Remo del 1981.

    

Il remix di “Lulù” riuscì come avevamo sperato. Dougie corresse un paio di frasi realmente meno comprensibili per un difetto di sincronia tra due voci sovrapposte e Olimpio, rientrato dall’Inghilterra, rinforzò il volume sulla traccia migliore di Dougie. Alla fine decidemmo all’unanimità che i versi di “Cori! Cori! Lulù”, “Ciello chiaro Lulù” e “Dolce Engelo sei tu” sarebbero rimasti come erano stati cantati. Erano divertenti e se ne sarebbe convinto anche il mastino della casa di produzione che aveva bocciato il primo mix. Ma quale risposta sarebbe arrivata dal pubblico dei cartoni? Sarebbe piaciuta l’angelica Lulù? La ragazzina di dodici anni che doveva correre alla ricerca del fiore dai petali color arcobaleno simbolo dell’amore e della sincerità? La programmazione TV prevedeva una prima serie di 50 puntate e la RCA, in contemporanea con il singolo, avrebbe pubblicato anche un long playing a 33 giri con il racconto dei tratti salienti della storia arricchito dal brano dei RH e da altri commenti musicali. Si preparava insomma una promozione di tutto rispetto, considerato che “Lulù” come “Candy” non sarebbe stata trasmessa da una rete nazionale RAI ma solo da un circuito di emittenti locali.
Per quella sera avevamo finito e decidemmo di scendere al bar della RCA sperando di trovarlo ancora aperto. Andammo giù a piedi per i due piani di scale, attraversammo la grande porta a vetri e ci trovammo sullo slargo su cui si affacciavano la palazzina degli studi e quella degli uffici. Il locale era quasi deserto, la maggior parte degli impiegati e degli operai aveva terminato il turno alle cinque del pomeriggio e ci accolse Mario, il barman anziano, intento a riordinare le tazzine: “La macchina è spenta, niente caffé!” brontolò. “Embè? Noi volemo tre whisky! Tre baby!” urlò Dougie in romanesco mentre ci avvicinavamo al bancone.
Gli inglesi, è risaputo, sono dei gran bevitori di birra, gli scozzesi da parte loro sono tra i migliori intenditori di whisky e i Rocking Horse, amici e collaboratori compresi, facevano onore a entrambe le tradizioni. Tuttavia osservavano un codice di autoregolamentazione che vietava gli alcolici di qualsiasi tipo durante i turni in studio; e l’indiscutibile qualità dei dischi dimostra che la regola non fu mai infranta. Diversamente, nei break pomeridiani e al termine di ogni incisione si concedevano più di un bicchiere, quasi sempre attenti a non superare i livelli di guardia. Per un certo periodo capitò che quei livelli fossero dribblati più volte tanto da diventare un’abitudine ma anche allora si comportarono come una squadra, un gruppo che sapeva accordarsi anche se non c’era nessuno spartito da seguire. A giugno del 1982 stavamo registrando “Sampei” e “Super Dog Black” in una sala vicino a piazzale Clodio e ci eravamo dati appuntamento al bar di fronte allo studio. Li vidi arrivare e allinearsi davanti al bancone. Dave fece l’ordinazione a mezza voce e dopo alcuni secondi spuntarono cinque incredibili bicchieri di latte, tutti in fila, religiosamente bianchi. Gli occhi di Dougie cercarono quelli di Mike. Dave, Marvin e Mick rimasero un istante perplessi, poi tutti insieme, barista compreso, esplosero in una fragorosa risata e quattro mani destre e una sinistra, quella di Fraser, strinsero i bicchieri celebrando in silenzio il rito collettivo di una necessaria purificazione.

    

Il 45 giri di “Lulù” fu distribuito nei negozi di dischi a settembre – nove mesi dopo il lavoro in RCA! – e i Rocking Horse scalarono rapidamente le classifiche. Domenica 8 novembre 1981 erano ventesimi nella Hit Parade di Radio Rai e due settimane dopo raggiungevano il piazzamento migliore arrivando al 16° posto, con i Rolling Stones al 19°, i Genesis al 12° e i Bee Gees al 9°. “TV Sorrisi e Canzoni”, settimanale molto influente nell’ambiente musicale, aprì la sua classifica ai Rocking Horse con il numero che copriva i programmi radiotelevisivi dal 22 al 29 novembre collocando “Lulù” soltanto al 45° posto. Poi nel primo numero dell’anno nuovo le assegnò la trentatreesima posizione, massimo livello raggiunto dalla nostra sigla secondo la testata in questione. Nonostante il piazzamento fosse molto inferiore a quello riconosciuto dalla RAI, “Sorrisi e Canzoni” aggiunse prestigio a noi tutti pubblicando il testo di “Lulù” nell’inserto speciale “Un anno di canzoni” del 1982 accanto ai successi di stelle di prima grandezza della musica leggera quali il compianto John Lennon, Stevie Wonder e Phil Collins. Le vendite reali, certificate dalla Società Italiana Autori e Editori, si attestarono a circa 70.000 copie del 45 giri originale e a 250.000 copie complessive tra singoli e raccolte su LP, cassette e CD. Anche il romantico personaggio dell’angelo dei fiori assunse le fattezze di una bambola e di vari gadget ma il cartone animato, pur con indici d’ascolto vicini a quelli di “Candy Candy”, ebbe minore longevità.
Grazie al nuovo successo di “Lulù” i Rocking Horse iniziarono a occupare in modo stabile un posto privilegiato nel cuore delle bambine e dei bambini che sempre più numerosi ripetevano le sigle cantandole mentre guardavano la televisione o ascoltando i dischi acquistati da papà e mamma. I considerevoli volumi di vendita convinsero la RCA a puntare sul cavallo a dondolo per altre serie di animazione che stavano per essere importate dal Giappone.
Le emittenti TV nazionali e locali aggiornavano costantemente i palinsesti ampliando da un mese all’altro la programmazione dedicata al pubblico dei giovanissimi fan di eroine ed eroi animati. Il Grande Mazinger, Jeeg Robot, Ken Falco, Heidi, Candy Candy, Lulù, l’Ape Maia, l’Ape Magà e King Arthur furono tra i primi a mettere in discussione il primato del grande Walt Disney e la televisione divenne la nonna a transistor dei tantissimi che soprattutto nelle città più grandi non potevano permettersi una nonna in carne e ossa per trecentosessantacinque giorni l’anno.
Dougie e Mike rappresentavano insieme l’anima dei Rocking Horse e anche se il raffronto è impraticabile cominciarono a essere indicati da alcuni addetti ai lavori come i Lennon – McCartney delle sigle TV dei cartoon. Inscindibili e complementari, rappresentavano la coppia vincente capace di garantire la realizzazione di un brano tanto nelle fasi creative, arrangiamento compreso, quanto in quelle esecutive. Io ero un autore indipendente, collaboravo con i RH e con altri artisti anche di altre etichette discografiche. Scrissi i testi di quasi tutte le sigle del gruppo senza nessun accordo di continuità. A eccezione di “Corri come il vento Kiko” e di “Lalabel”, firmati da Loriana Lana e Lorenzo Meinardi, la stabilità del mio sodalizio compositivo con i Rocking Horse fu dovuta al solito Olimpio, capace per sensibilità e esperienza di mettere insieme personalità diverse ma idonee a formare una squadra affiatata. Se il mio contributo a “Candy Candy” era arrivato in modo casuale, ero entrato in gioco perché prima del mio testo ce n’era un altro di cui Olimpio non era convinto, fui richiamato per “Mysha” dopo l’en plein di vendite con la bionda orfanella della casa di Pony e probabilmente l’incarico per “Lulù” mi arrivò perché “squadra che vince non si cambia!”.